Lo stile depressivo

Lo stile depressivo

L’elemento di fondo che caratterizza questo stile di personalità risiede, sin dalle prime fasi dello sviluppo, in una distanza affettiva incolmabile che assume forme diverse a seconda del livello di ostilità genitoriale; può oscillare da forme estreme di rifiuto, come nel caso di maltrattamenti, fino all’indifferenza nei confronti delle richieste di accudimento. Queste modalità genitoriali sembrano innescare e mantenere nel bambino un’organizzazione affettiva centrata sulla continuità della perdita della figura d’attaccamento; quasi una reazione cronica di lutto, che oscilla emotivamente tra le fasi di protesta e di disperazione.

L’esperienza di perdita diventa dunque costitutiva dell’identità personale.Il bambino nel corso degli anni scolare andrà a sviluppare questa “fiducia compulsiva in sè stesso”, che si accompagna alla disattivazione affettiva da parte del caregiver. L’esperienza precoce di rifiuto, quindi, correla allo sviluppo successivo di un “personaggio” che non fa affidamento sugli altri ma conta solo su di sè.
Anche in futuro colpisce l’attivazione spesso improvvisa e inspiegabile della tristezza o della rabbia connessa a situazioni di rifiuto così come l’esperienza di solitudine, spesso minimizzata dal paziente, e la spiccata autonomia, che altro non è che un assoluto ripiegamento su di sè, quasi un “eccesso di interiorità”. Ciò spiega la difficoltà dei soggetti tendenti a disurbi depressivi al coinvolgimento in un rapporto affettivo; coinvolgimento intimo significa infatti incontrollabilità della perdita.

Se il legame affettivo va fattualmente formandosi, la messa alla prova continua del partner permette il continuo monitoraggio della sua affidabilità. A sua volta la rottura di una relazione sentimentale è senza dubbio da considerarsi fra le principali cause di scompenso: il paziente percepisce la separazione come abbandono, come iniziativa presa solo dall’altro, e rompere la relazione equivale, per il soggetto tendente a disturbi depressivi, ad azzerare l’identità dell’altro, e quindi a troncare in modo irreversibile ogni possibile contatto con l’altro. Ciò può dar luogo a una patologia del lutto che può delinearsi lungo un versante attivo, come nelle situazioni di lutto ritardato, o secondo un atteggiamebto di passività, come nelle forme di lutto cronico, bloccato.

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